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mercoledì 8 aprile 2020

Hamud

- È una notte piuttosto fredda questa, però il lavoro è lavoro...

... In tal modo, il giovane Hamud varcò la soglia della catapecchia in cui viveva tra il caos di una famiglia povera e numerosa e si diresse verso la campagna col fardello delle sue cose.

Aveva solo dodici anni Hamud eppure, a sentirlo parlare, si aveva la sensazione di trovarsi di fronte a un vero uomo. Piccolo e vispo, scuro di carnagione, tutto riccioluto e con due occhi neri ma brillanti, quasi a rivelare, da subito e per sempre, che avrebbe fondato ogni giorno della sua esistenza sull’oculata amministrazione della furbizia. Qualche giorno prima, nel mercato della città di Prooth, si era finto cieco bendandosi gli occhi. Riuscì a comporre un discreto gruzzoletto di elemosina con la metà del quale, pagandosi il viaggio su un mulo, si spostò sul versante opposto della regione, fino alla città di Swaradcawaiwashcuppewa, che neppure gli stessi abitanti riuscivano a pronunciare bene. Qui, l’ingegnoso Hamud, inventò un gioco a misura delle proprie possibilità economiche, che si faceva con delle carte dipinte a mano e che prevedeva  di azzardare scommesse investendo delle monete, ma, di turno in turno, poche. Per questa ragione battezzò quel gioco col nome di Pocher (aggiungendo una erre che dava charme e che non ci stava male). Hamud vinceva sempre perché solo lui conosceva le regole e anche perché gli abitanti del posto non erano proprio delle volpi. Inoltre, ad onor del suo malsano ingegno, spesso vinceva perché aveva le mutande piene di assi (le mutande le aveva inventate durante il lungo viaggio sul mulo). Quando ebbe vinto a sufficienza lasciò il tavolo da gioco e andò a svaligiare le case di tutti quelli che, accaniti e smaniosi di vincere, s’intrattenevano per ore intere a giocare a Pocher ( per dovere di cronaca, segnaliamo Mustawa, un giovane che divenne presto abilissimo pocherista e che qualche mese dopo inventò la lettera kappa). In una casa, l’ultima in ordine d’intervento, Hamud rubò un mucchio di anelli , collane e spille... Fu questa l’unica disavventura della giornata poiché, durante il ritorno a casa, si rese conto che si trattava solo di bigiotteria e non di preziosi.

- È una notte piuttosto fredda questa, però il lavoro è lavoro...

Continuava a ripetersi Hamud mentre camminava per la campagna col fardello delle sue cose, tra cui, tutta la bigiotteria che meditava di rifilare al primo stolto in cambio di qualche spicciolo.

Camminò ancora per qualche ora il piccolo Hamud, il diabolico ladruncolo che rubava e imbrogliava il prossimo per sfamare i poveri familiari. Poi si fermò al riparo, in una specie di grotta, per rifocillarsi un po’.

Qualche minuto più tardi, gli parve di udire delle voci di uomini in avvicinamento.

- Guardate, ora si vede chiaramente, è lei, è la stella.

- Oh, che Dio sia lodato! Siamo sulla strada giusta allora.

- Si, però che ne dite di riposare un poco, i cammelli sono stanchi... Io ho le palpebre pesanti ormai.

- Si, lì c’è una grotta, guardate! Potremo sostare e schiacciare un breve pisolino.

- Ma come parli Melchiorre che il tuo dire mi pare nuovo seppur comprensibile?

- Non so, Dio è grande Baldassarre! Egli mi ispira a dire nuove cose e ispira voi a comprenderle...

- Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.

- Questo non c’entra proprio niente Gaspare, se tu continui così farai coppia con Zuzzurro!

- E chi è Zuzzurro?

- Non lo so, ma Dio mi dice che è così.

- Gloria a Dio nell’alto dei cieli...

- ... E pace...

E così, i tre pellegrini, evidentemente provati, si rifugiarono nella stessa grotta in cui, poco tempo prima si era introdotto Hamud. Quest’ultimo, spaventato da quei bizzarri personaggi, si era nascosto più in fondo possibile, dove il buio era di un nero pesto. Mentre i tre amici russavano le prime note di un sonno breve ma profondo, Hamud notò tre interessanti scrigni deposti proprio sull’entrata della grotta. La curiosità fu presto irresistibile e il giovane ladruncolo avanzò di soppiatto verso l’obiettivo, badando bene di non fare alcun rumore. Aprì delicatamente il primo scrigno ma dovette richiuderlo in gran fretta raggiunto da un’esalazione di incenso. A stento trattenne tosse e starnuti. Ripresosi dall’imprevisto, passò al secondo scrigno. La delusione non fu poca alla vista della mirra.Senza grande entusiasmo aprì il terzo ed ultimo scrigno e subito impallidì: c’erano dentro anelli, collane e spille, tutte in oro puro e lucente.

In men che non si dica, il giovane realizzò l’intuizione della vita. Sostituì l’oro con la sua bigiotteria, attese la partenza dei tre ricchi viandanti e si diresse verso casa di gran carriera, sospinto da una felicità mai provata prima. Con quel colpo, Hamud aveva risolto per sempre i problemi della sua  povera e numerosa famiglia.Eppure, nonostante tutto, non riuscì a perdere quell’insana attitudine: continuò così a rubare e a imbrogliare il prossimo per molti anni, seppure non più bisognoso.

...

Hamud, era ormai un uomo brizzolato sui quarantacinque quando decise di fare ritorno a  Swaradcawaiwashkuppewa, il luogo in cui tanto tempo prima comparve il gioco del Poker già Pocher. Ahinòi! Qui lo attendeva un tragico destino. Quando si avvicinò al tavolo da gioco per fare una partita, il già menzionato Mustawa lo riconobbe e gli esibì le fatidiche mutande piene di assi che nella fretta di andar via aveva dimenticato inesorabilmente dopo aver fatto un bagno nel fiume, una trentina di anni prima. Mustawa lo denunciò alle autorità.

Hamud fu condannato a morte. Secondo la volontà popolare che reclamava vendetta.

- Impicchiamolo!

Gridò qualcuno.

- Bruciamolo! Al rogo !

Replicò un altro

- No, crucifisso! Che muoia sulla croce!

Sentenziò il triumvirato dei saggi.

- Ci libereremo di lui e degli altri due lestofanti che stanno in prigione domani, quando il sole comincerà a calare.

...

L’indomani, i tre delinquenti furono inchiodati sulla croce fra strazi e tormenti a iosa.

Hamud non riusciva più ad avere reazioni di alcun tipo. Neppure al dolore. Si stava rassegnando man mano all’idea della morte. Ad un tratto gli parve di udire un lamento e diresse lo sguardo alla sua sinistra, verso l’altro sventurato delinquente, quello che, dei tre, stava al centro.

- Che hai ?

- È il chiodo sulla destra... Mi fa particolarmente male...

- Oh, mi spiace... Te lo sfilerei volentieri se solo potessi...

E provò a liberarsi le mani con uno sforzo che gli costò le ultime energie e un dolore nuovamente percettibile.

Hamud lanciò un urlo strozzato dalla fatica estrema.

- Non ce la faccio proprio - disse - mi dispiace...

- Non temere - aggiunse l’altro - solo per questo, tu oggi stesso sarai con me nel regno dei cieli.

A quelle parole Hamud rispose con un sorriso di commiserazione, convinto che il suo collega di sventura stesse delirando. Poi alzò di nuovo lo sguardo e lo diresse verso la mano dolorante da cui vide sgorgare del sangue in un fiotto abbondante. Rimase per un po’ su quella mano martoriata e... Tra il sangue vivo, notò brillare qualcosa, era un anello.

- Ironia della sorte, - disse Hamud – è davvero strano come queste avide belve ti abbiano lasciato dell’oro addosso senza rubarlo.

L’altro uomo sollevò lentamente il capo e, sorridendo con pacata dolcezza, si rivolse ad Hamud:

- È un vecchio ricordo ricevuto in dono tanto tempo fa... Ma non è oro, è bigiotteria...

E detto questo si abbandonò alla morte, in un ultimo, lungo respiro.

Dopo quelle parole, Hamud ripercorse la propria vita in un solo istante. Ora ne aveva in pugno il senso.

- Grazie.

Sussurrò alla volta dell’altro... E spirò contento.

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