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giovedì 9 aprile 2020

Arcibalda e Gianmaria

Un giorno di moltissimi anni fa, in un mattatoio autorizzato, si incontrarono Arcibalda e Gianmaria.

Lei era una mucca alcolizzata che puzzava di vino, lui l’artefice protagonista del noto detto “qui casca l’asino”, ormai vecchiotto e malandato.

- Ciao.

Esordì l’asino, che si era conservato distinto nei modi.

- Questo ci vuole prova'.

Pensò lei senza replicare e voltandosi da una parte.

Gianmaria avvertì l’odore forte della tequila e, da magnanimo quale era, si accostò ugualmente all’altra, con delicatezza. Si ricordò di una scena già vista molti anni prima, quando ancora frequentava abitualmente il teatro classico; si schiarì la voce con decisione e, seppure a fatica, le poggiò l’anteriore sinistra sulla groppa per accarezzarla con lo zoccolo, dolcemente.

- Non temere- disse - non sono uno di quelli che ci prova al primo colpo, vorrei solo parlare con te...

- E a cosa serve? Lo sai che stiamo per morire, no? -

E così dicendo alitò verso Gianmaria che questo a momenti sviene.

- Porca vacca! - esclamò ventilandosi le grosse narici  col medesimo zoccolo.

- Come hai detto? -

Minacciò lei mostrando le corna.

- Scusami, ti prego, scusami! E’ che... vedi, mi sono abituato a dire così per via del mio padrone... Sai... io sono... Gianmaria.

E volse gli occhi a terra.

- Tu? Tu sei l’asino più popolare del mondo e ti trovi qui, in un mattatoio?

L’asino, seppur toccato, ritrovò la forza di sorridere ed incrociò di nuovo lo sguardo della sciagurata compagna di sventura. Anche lei sorrise.

- C’est la vie! Prima o poi non vai più bene... Ma tu come ti chiami?

- Arcibalda...

Sussurrò lei con un filo di voce appena percettibile.

- Come?

Replicò lui.

- Ma che fai orecchie da mercante adesso?

- E che vuol dire ?

- Non lo sò, ma l’ho sentito dire in occasioni come questa, tanto più che tu a orecchie non sei mica messo male...

- Ah, grazie... Non me lo aveva detto nessuno prima...

- Non è un complimento, scemo ! E comunque mi chiamo Arcibalda, va bene?

- Ah, ma è un bel nome.

- A me fa schifo e anch’io mi faccio schifo, in un certo senso sono contenta di morire!

- Ma cosa vai dicendo Arcibalda? Tu non puoi parlare così! Non puoi e non devi pensarle queste cose, neppure per scherzo e fin quando ti resterà un solo soffio di fiato in corpo... Anche se, devo dire, il tuo è un po’ pesantuccio, eh?

- E’ per via dell’alcol che mi sono ridotta così. Il mio padrone si ubriacava tutti i giorni; era un’ autentica spugna; finché, seriamente provato, non andò dal medico che gli consigliò di disintossicarsi col latte. Così lui comprò me.

- E poi?-

- E poi ebbe una ricaduta.

- Riprese a bere?

- Sì, ma in un modo ingegnoso, conveniente diciamo, almeno per lui. Non mi dava più acqua per giorni e poi mi portava dei grossi recipienti traboccanti di vino. Dovevo pur dissetarmi, no? Il giorno dopo, all’alba, si presentava impaziente, nervoso...mi mungeva in fretta e correva a scolarsi il siero di latte e vino; così si ubriacava e si disintossicava allo stesso tempo.

- E tu?

- Io rimanevo ubriaca per giorni interi e ogni giorno che passava sentivo venir meno le forze, finché... finché non sono più andata bene. Ed ora eccomi qua, con una gran voglia di farla finita.

- Ma, dimmi, non sarai mica venuta fin qui spontaneamente?

La mucca non rispose e distolse lo sguardo da quello di Gianmaria. Poi singhiozzò.

Gianmaria la baciò sulla guancia abbondante e l’altra scoppiò in lacrime.

- Perché piangi?

- Perché è la prima volta che un asino mi bacia.

- Ti ha dato fastidio?

E l’altra scosse la testa tirando su col naso, tanto forte che si sollevò una specie di tempesta di polvere, paglia ed altro.

- Grazia divina!

Esclamò Gianmaria.

- Cosa c’è?

Replicò il bovino ancora in lacrime.

- Guarda! Sotto il mucchio della paglia c’era la chiave del lucchetto.

- E allora ?

- Allora abbiamo ancora una speranza, si potrebbe aprire quella porta e fuggire via, insieme... Tu devi! Tu non sai ancora cosa significhi vivere. Dai, accetta, ti prego! Provaci almeno! Se non ti piacerà, allora farai come credi.

La mucca dapprima esitò, poi si lasciò andare.

- Ma tu sai aprire una porta con la chiave?

Gianmaria annuì sicuro.

- Dimentichi forse chi sono?

In un paio di minuti i due amici erano fuori dal mattatoio e, approfittando della pausa dei macellai per il pranzo, fuggirono via con tutte le forze rimaste.

Fecero molta strada finché giunsero in una vecchia stalletta sperduta nella campagna deserta. Nevicava e faceva un gran freddo. C’era, tutt’intorno, una strana atmosfera.

- Ho paura.

Disse Arcibalda entrando nella stalletta.

- Non temere.

 Replicò il buon Gianmaria.

- Riposeremo qui stanotte e domani riprenderemo il viaggio.

Non finì neppure le ultime parole che da fuori si udirono delle urla: una voce chiaramente femminile.

A seguire, quella di un uomo che cercava di infonderle coraggio.

- Chi sarà ?

Domandò la mucca.

- Non lo so, nascondiamoci lì dietro.

Pochi attimi più tardi l’uomo e la donna misteriosi entrarono nella stalletta e si strinsero insieme, vicino ad una mangiatoia. Erano appena appena visibili tra le ombre nette che li avvolgevano.

Gianmaria e Arcibalda spiavano in silenzio, rapiti da quella scena di ombre cinesi, quasi trattenendo il respiro. La donna urlava e smaniava mentre l’uomo la teneva tra le braccia.

Alla fine un grido più forte si levò in alto, tanto in alto che ruppe il manto delle nuvole grigie perché si affacciasse la luna e questa, magicamente, illuminò tutto il paesaggio per rivelare centinaia di persone che avanzavano composte verso la stalla.

Le due bestie impaurite assistevano quasi incoscienti, finché un chiaro vagito di bimbo ne richiamò l’attenzione. Si volsero di nuovo verso l’uomo, del quale ora si distingueva una folta barba, e verso la donna, esausta, tutta avvolta in un velo bianco e con un neonato tra le braccia.

- Non farà troppo freddo?

Sussurrò la donna al suo uomo.

E vi fu un lungo attimo di silenzio.

Spinto da una forza più alta, Gianmaria si levò sulle quattro zampe e si avvicinò alla famiglia.

Si accostò alla creatura e cominciò a scaldarla respirando vicino.

L’uomo con la barba gli accarezzò la testa.

- Che Dio ti benedica !

Aggiunse.

A quel punto, anche Arcibalda si levò, era commossa, si avvicinò lentamente. Poi cercò di imitare il suo amico, per rendersi utile ma ... Gianmaria la fermò.

- Tu è meglio che lo scaldi col solo calore del corpo, almeno per il momento.

Suggerì con pacata dolcezza.

La mucca sorrise.  Capì e si adattò alla magica situazione...

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