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venerdì 29 maggio 2020

Alleluya

Nel piccolissimo paesino di Gruhjojajo, viveva una coppia di sposini molto poveri ma davvero esemplari. Lavoravano sodo per tutto il giorno nei campi, curavano la casa, l’educazione e le buone maniere. Pregavano il Signore a lungo, molte volte al giorno e soprattutto per ringraziarlo del cibo a tavola. Tanto pregavano da non avere più nessuna informazione sensoriale di una minestra calda. Avevano deciso da tempo di allargare il nucleo domestico, seppure nella modestia e nelle ristrettezze; avrebbero sopperito con tanto amore, questo dicevano.

Provarono ripetutamente, provarono e riprovarono al punto che, guarda caso, in giro si diceva che fossero particolarmente provati. Dopo quindici lunghi anni di prove arrivò, con la benedizione del Cielo, una bella femminuccia che, per la gioia, i genitori vollero chiamare Alleluya. La piccola crebbe in salute e tra coccole di ogni come. Troppe in verità, ma certo, non per la coppia dei buoni genitori. Intanto, la vita si era fatta dura. Davvero. A sedici anni Alleluya pesava centododici chili ed era alta un metro e cinquantotto. S’ingozzava di giorno e di notte. A tavola divorava di tutto, lo faceva durante la preghiera dei genitori che amavano pregare a occhi chiusi per non cedere alle tentazioni dei sensi. La ragazza divorava il suo e l’altrui cibo. Andava pazza per la minestra calda. Purtroppo, come spesso accade, era scivolata nel baratro del piacere, dell’egoismo da capriccio, inconsapevolmente, per causa dell’incapacità assoluta dei genitori di rimproverarla. A lei era tutto concesso, mentre i due sposi decidevano di estendere il corso delle preghiere con l’intento di affidare al Signore anche l’educazione della figliola. Poveri genitori, comunque! Presto morirono insieme, di stenti, di fame e di sete. Li ritrovarono mano nella mano, ancora seduti a tavola e col busto eretto, dopo una settimana dalla dipartita. Con la tavola imbandita ma senza neppure l’ombra del cibo. Da troppo tempo fingevano solo di mangiare e di bere tentando di suggestionarsi e placare, in tal modo, i morsi della fame. Mentre la ragazza perseverava e ingoiava di tutto. Senza tregua, senza controllo e senza pietà.La tragedia dei due bravi cristiani aveva fortemente toccato e scosso l’opinione pubblica. Soprattutto in ordine alla crudeltà dell’avida figliola che, col tempo, somigliava sempre di più a una bestia. Nei bar e nelle piazze del piccolo paese erano sempre più frequenti i malefici alla volta della suddetta. “Che tu possa scoppiare!” era il più ricorrente. Un giorno, proprio nell’ora che solo per comodità di linguaggio diremo “di punta” e cioè quando, per la pausa del pranzo, tutti erano assorti al sole tiepido della campagna, da lassù, in alto, proprio dalla “bestiale” direzione della di lei dimora, suonò e rimbombò un boato inenarrabile che fece tremare la terra e mise a tacere ogni sorta di pennuto cinguettasse nel raggio di chilometri. Nei volti di tutta la gente, superato un breve stato di terrore iniziale, si affacciò una specie di sorrisetto rigido, diabolico, di quelli che “arredano” una grande speranza, seppur cattiva. Immediatamente tutti gli sguardi furono rivolti nella stessa direzione. Trasportate dal medesimo pensiero, le persone cominciarono a correre in uno sciame scomposto ma energico e presto raggiunsero la dimora di Alleluya. Il sindaco del paesino, che era in testa al folto gruppo insieme al vigile urbano, bloccò tutti gli altri con un cenno della mano, poco prima del cancello del cortile:

- Cittadini!... - disse - ... non conoscendo quale orribile spettacolo riservi questa sciagura che comunque noi riteniamo essere un miracolo, vi chiedo di tenervi a distanza ed essere pronti a tutto, poiché, finalmente, la bestia potrebbe essere scoppiata!

Vi fu un urlo corale d’acclamazione e poi il vigile concluse:

- Adesso seguite me e il signor Sindaco! Mi raccomando, niente panico nè scenate!

La massa avanzò lentamente e tutti insieme girarono intorno alla grande siepe che nascondeva l’ingresso della casa. Quell’espressione comune di imminente godimento sfumò repentinamente dai volti di tutti, si trasformò in sorpresa e poi in delusione.

Sulla soglia della piccola dimora di collina infatti, Alleluya se ne stava leggermente riversa in avanti, col viso tutto rosso e gli occhi fuori dalle orbite mentre tentava, con molta fatica, di colpirsi il dorso con dei pugni. Alla vista di tutta quella gente, rimase per un poco in silenzio e visibilmente a disagio. Poi affermò:

- Scusate tanto! Scusate davvero! Ma se non avessi fatto il ruttino sarei... esplosa!

Tanto disse stentatamente agli astanti increduli che, come sospinti da un altissimo senso di rassegnazione, risposero in coro e con tono sommesso:

- Alleluya!...

Quel tremendo, bassissimo incidente che vide Alleluya ergersi a protagonista assoluta a cospetto del popolo tutto e, per giunta, del primo cittadino, indusse la medesima a lunghissime ore di profonda riflessione. Ne scaturì un imprevedibile senso di pudore che presto si tramutò in profonda vergogna ed umiliazione mai provate prima. La cosa produsse nella giovane donna la netta convinzione di allontanarsi dal loco natio, per un bel po’, nella speranza che il tempo cancellasse quell’onta dalle memorie e affermasse la speranza del riscatto, più in là, un giorno, tra le nuove generazioni. Alleluya lasciò il proprio paese nottetempo, in segreto e sparì nell’anonimato.

Quarant’anni dopo

Ingrigita, coi segni precoci dell’età avanzata ed anche un po’ dimagrita, in generale più umana nell’aspetto e più sobria di spirito, Alleluya fece ritorno a Gruhjojajo convinta di trascorrervi serenamente il tempo restante.

Tratteneva la commozione resistendo con molta energia mentre percorreva il viale principale e riconosceva, uno per uno, i giovanotti di una volta tra i presenti incuriositi, ora uomini e padri di famiglia. Giunse fino alla piazzetta. Lì pianse per un po’ in solitudine liberandosi della tensione. Poi, in lontananza, scorse una sagoma che affiorava dalla nebbia del mattino avanzando verso lei. Man mano che procedeva, quella sagoma proponeva tratti e lineamenti familiari. Si trattava di Giovigiocondo. Il piccolo Giovigiocondo Floomhb, figliolo prediletto del sindaco di una volta. Ora adulto e sicuro di sé. Lo fece avvicinare e quando fu prossimo a sufficienza, Alleluya si fece incontro.

- Mi scusi buon uomo, vorrei un’informazione se non le dispiace…

- Dica pure signora, dica… Lei è forse nuova di queste parti?

- Non propriamente ma… beh, ecco... io vorrei sapere di Giangerolamo, il signor Giangerolamo che una volta era sindaco di questo paese…

- Sarà un caso ma lei sta parlando proprio col figlio di quel sindaco, cara signora! Piacere, Giovigiocondo Floomhb! … Ma posso avere anch’io l’onore?

- Certo! Presto lo avrà ma, per cortesia, prima mi dica, dov’è ora suo padre?

- Ma è a casa! E’ in pensione, signora, da molto tempo ormai… Alla fine del mandato di sindaco ha avuto una certa fortuna in politica. Oggi pensi, è un senatore in pensione.

- Oh, che bello! Io lo ricordo bene, era giovane, sempre forte e determinato… Era proprio un bravo sindaco il suo papà…

- Eh, sì, grazie, apprezzo molto... ma è stato davvero tanti anni fa, se non vado errato, lui portò a termine il suo mandato che... insomma, erano più o meno i tempi del “Grande Rutto”. Giornata storica! Noi la celebriamo ogni anno con una grande festa, la festa della Liberazione. Più o meno quarant’anni fa... Posso avere il piacere ora, signora...

La donna avvertì un brivido freddo e molto intenso che le impedì di proseguire. Ma non di avviarsi e sparire velocemente nella nebbia da cui era precedentemente affiorata per il commosso  ritorno. Si avviò dopo aver salutato Giovigiocondo, ora perplesso, col solo gesto della mano. 

Non tornò mai più.

venerdì 22 maggio 2020

Caso e caos a Darkmundenunden (ovvero dei destini)

Nella città di Darkmundenunden le persone intelligenti erano pochissime, quelle buone si contavano sulle dita di una mano e quelle cattive erano davvero molte.

Tra i più buoni di ogni tempo si ricordano, in particolare, tre ragazzi. Due di questi sono scomparsi che erano ancora adolescenti e mai più ritrovati. Qualcuno, ancora oggi, dice che si trovino oltreoceano, fuggiti per la disperazione: Pina e Pippo. Del terzo, comunque legato ai suddetti, raccontiamo la triste storia. 

... Molti anni prima ...

Non era il più intelligente della città ma sicuramente era il più buono di tutti. Eppure...

Si chiamava Giusemme, a causa di un piccolo difetto di pronunzia che suo padre, Mietro, aveva ereditato dal vecchio nonno Masquale e che, sfortunatamente, anche lui aveva ricevuto in eredità. Così, Giusemme era cresciuto tra mille difficoltà: deriso dagli amici in infanzia, rifiutato dalle donne poi e molto altro. Era la solitudine la sua migliore amica, per quanto, quotidianamente, alimentasse un proprio sogno segreto: desiderava, più di ogni altra cosa, diventare amico di un paio di persone che gli piacevano tantissimo. Giusemme nutriva una particolare, intima simpatia per Pina, fanciulla bellissima e molto dolce. E anche per Pippo, un vero e proprio simpaticone del quale sarebbe divenuto amico molto volentieri. La suddetta coppia, generalmente, frequentava una numerosa comitiva di ragazzi tra cui, ahimé, si distinguevano per antipatia, Mina la formosa e Mimmo il manesco. Il buon Giusemme era lacerato da un dubbio quotidiano che non gli dava pace, da sempre. Pina e Pippo, alla sua vista, tendevano ad evitarne il contatto e, nella peggiore delle ipotesi, fuggivano via terrorizzati. Di questa cosa Giusemme non comprendeva la ragione. Erano due bravissimi figlioli, perchè quell’atteggiamento nei suoi confronti? Inoltre, anche lui, non era considerato da meno. E allora, perchè? Così, il nostro buon ragazzo fu costretto a mettere in atto stratagemmi; progettava delle imboscate per tentare l’approccio e contenere la consuete, inspiegabili fughe cautelative degli amici sperati. Perciò, si nascondeva tra le siepi e ne attendeva il passaggio.  Il fatto è che Pina e Pippo si spostavano sempre insieme al citato gruppo di amici e, quando questo muoveva da una parte all’altra della città, il povero Giusemme saltava fuori dal nascondiglio rivelandosi a tutti, poi salutava i suoi preferiti tentando di trattenerli, a modo suo:

- Ciao Mina. Ti prego, non fuggire!

Ma, in tal modo, finiva sempre col richiamare l’attenzione della volgare, formosa e antipatica ragazza, la vera Mina che, spaventata per quel gesto e ritenendosi presa in giro, ogni volta mollava un calcione sullo stinco dello sventurato Giusemme il quale, seppure accecato dal dolore, tentava tuttavia di approcciare anche col simpatico Pippo. 

- Ciao Mimmo. Non scappare! Non aver paura!

Diceva balzellando su una sola gamba mentre, con una mano, si teneva l’altra dolorante.

E pure quest’ultimo, cioè il vero Mimmo detto il manesco, ritenendolo un gesto di sfida, lo gonfiava di botte. C’è da aggiungere inoltre che, durante il consueto pestaggio, pensando di fare cosa opportuna, il povero ragazzo implorava alla volta del cattivo:

- Mimmo merdòna! Merdòna!...

Figuriamoci l’altro.

E così, puntualmente, Giusemme vedeva Pina e Pippo allontanarsi di corsa e non capiva. Come anche perché non avessero preso le sue difese neppure una sola volta. Eppure, si sarebbe accontentato di un solo briciolo di attenzione da parte dei suoi coetanei preferiti, Pina e Pippo. Erano anni che tentava, invano. A completare la cosa, infine, c’era il ritorno serale a casa, quando il padre di Giusemme, Mietro, riconosciuto suo figlio massacrato dalle botte, puntualmente, gli domandava:

- Ancora? Chi ti ha ridotto così?

- Mina e Mimmo!

Rispondeva ogni volta lo sciagurato.

E così, Mietro, consapevole del difetto di pronunzia del figliolo e dell’incomprensibile passione per i due ragazzi, si recava nella dimora di Pina e quindi in quella di Pippo. Lì, riferiva ai rispettivi genitori di quanta maleducazione e vandalismo criminale praticassero i propri figli quando erano in strada.

- Mi dismiace mresentarmi di nuovo, ma i vostri figli non sono mer niente educati! Sembra non abbiano un mamà e una mamma! Con un ragazzo così buono e innocente! Ma com’è mossibile? E’ come smarare sulla Crocerossa! Mrima o moi li denuncio alla molizìa! Lo giuro sull’anima di mio madre e mia madre lassù in Maradiso! Lo faccio mer davvero! Lo giuro!

Lamentava  Mietro.

E gli altri, i genitori di Pina e quelli di Pippo, rispettivamente turbati da tutta quella incredibile e incomprensibile violenza gratuita, sfogavano tutta la rabbia sui propri figli a suon di sberle davvero pesanti.

- Ma come ti viene in mente? Se proprio non ce la fai, evitalo! La prossima volta ti porto da uno specialista! Tu non sei normale!

Urlava il padre di Pina mentre la gonfiava di botte.

- Ma che ti è preso? Stai diventando un killer! Se ci riprovi ti ammazzo con le mie mani! Tu non ti devi nemmeno avvicinare a quel povero ragazzo!

Ordinava il padre di Pippo mentre lo teneva per la gola come se volesse strangolarlo.

I due sciagurati avevano pure tentato di spiegarsi in precedenza, ma questo aveva prodotto solo un aumento della rabbia dei genitori ormai sfiduciati. E ogni volta che questo accadeva, i poveri Pippo e Pina, andavano a letto malconci e turbati, senza coscienza alcuna del perchè di tanto immotivato odio da parte di Giusemme, il calunniatore. Quel ragazzo solitario che, durante il giorno, non faceva altro che aspettare il momento propizio per scatenare l’ira dei più violenti della comitiva, Mina e Mimmo, farsi pestare di botte e, infine, incolpare loro. Pina e Pippo non capirono mai e, un bel giorno, decisero di fuggire via insieme. Da quello stesso giorno, Giusemme non ebbe più interessi particolari per nessuno, condusse un’esistenza solitaria ma, finalmente, senza lividi e ferite.