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giovedì 9 aprile 2020

Strano Natale a Klippentown


Vi fu dapprima un gran bagliore che illuminò la stanza buia per un istante. Poi, a seguire, una dolce folata di vento. Poi ancora, il silenzio. Si accese una luce. 
Due grosse mani ben curate adagiarono una preziosa coppa d’oro sul comò. Successivamente si aprì un cassetto nel quale furono riposti gioielli ed una corona lucente. 
Per ultima si spalancò l’anta di un grosso armadio di legno di noce in cui finì un fardello di abiti di lusso, calzari e accessori vari. Da quell'anta le stesse mani estrassero un abito molto elegante, scelto tra gli altri appesi alle decine di stampelle. Nello specchio del comò si riflesse l’immagine del volto di un uomo attempato ma piacevole, di grande dignità, di singolare portamento. Cominciò a toccarsi la barba, poi i capelli grigi e lunghi, ruotando il capo leggermente, ora a destra, ora a manca, e seguiva quella sequenza di movimenti con delle eloquenti espressioni di disapprovazione. Aprì e cercò nei cassetti dello stesso mobile. Sistemò le cose trovate sul piano, lanciò un’ultima occhiata alla propria immagine riflessa, passò all’azione...

 ... Salutò il suo nuovo aspetto con un sorriso. Aveva tagliato i capelli e accorciato la barba. Sul palmo della mano sinistra calò una noce bluastra che aveva ottenuto premendo su un tubetto di plastica. Sfregò entrambe le mani e le passò sui capelli fissandoli per bene all’indietro. Sorrise di nuovo e tornò a cercare qualcosa. Trovò della carta da lettere e una matita. Cominciò a scrivere...

“Klippentown, 24 Dicembre 1998, ore 23.00.

Mentre vi scrivo questa lettera mi giunge l’allegro brusio dei piani bassi, dove si banchetta e si onora l’Evento prossimo ormai, dove l’unione vi rammenta, tra vini e pietanze, che siete tutti parenti e che questo solo conta. Che siete tutti dello stesso sangue, lo stesso che Giselda vedrebbe sgorgare volentieri dalla carotide di Dilania, cognata di Mizio che augura a Bruto la morte violenta e a Drasia, Gennaro, Marta, Agostino e Dimaldo, il quale non ha concesso al fratello di aprire una finestra sul sito che Restasio ha maledetto auspicando smottamenti. E mi giungono, ancora, le voci dei bambini, anime innocenti! Loro, che attendono solo di affogare nella gioia e nel chiasso che la carta regalo alimenta quando, strappata e fatta a pezzi, rivela decine di pupazzetti che parlano, si muovono, cantano, sparano e pisciano, perfino. I vostri cari delegati. Delegati a colmare i vuoti delle vostre creature. Troppi ormai... Troppi.

Ancora non saprei sopportare. Vi lascio con l’augurio sentito di chi, preoccupato, spera che altro non sopraggiunga a sostituire i vostri maledetti pupazzi. Che non dobbiate vegliare e straziarvi sui tanti mancati rientri, perché tanti saranno. Ma che le vostre notti siano piene di sogni, giammai di incubi, di ansie... di siringhe. Io vado. Non so dove. Così come non so se, stasera, la mia assenza potrà sortire l’effetto che spero: guastare un vostro desiderio, pur futile che sia. In onore del mio modesto e insignificante ruolo in un presente così spietato. Addio, augurandovi comunque ogni bene. Primo fra tutti, la redenzione”.

L’uomo appose una firma illeggibile sulla lettera e scappò via calandosi in strada dal balcone.

 ... Nella sala da pranzo scoccò la mezzanotte. Spumanti e vini doc traboccarono da decine di calici alzati. Era tutto un tintinnio ed un accavallarsi di “auguri caro”, “buon Natale cara”... I bambini si ammucchiarono sotto l’albero devastando ogni sorta di pacco nascondesse loro il balocco dei sogni.

Poi tornò una relativa pace.

- Una tombolata?

Propose qualcuno tentando di rianimare la serata.

- Nooo...

Replicò il gruppetto dei soliti anti-tombola che aspirano a qualcosa di più eccitante.

- Facciamoci un paio di mani a “Ventotto” come l’anno scorso, così peliamo Gennaro.

- Ma chi peli tu?

E seguì una risata corale. Perfino i bambini risero del povero zio Gennaro, e inoltre ognuno chiese ai rispettivi genitori di poter partecipare al gioco. Proprio come l’anno precedente. Si erano divertiti un sacco.

- Si’, ma si punta fino a diecimila.

- Eccolo là, il solito tirchione.

- Oh, io mica lavoro in banca!

- Ma zitto! Vai a pigliare le carte piuttosto! ...

... Due minuti più tardi erano tutti disposti intorno al tavolo, grandi e piccini.

Il banco toccò proprio a Gennaro, che puntò come gli altri e, prima di mischiarle, iniziò a contare le carte.

- Il piattò piange. - disse intanto qualcuno.

- Dilania, caccia i soldi!

- Io ho puntato, buffone!

E tutti ridevano, soprattutto i bambini.

- Genna’, che ci vuole la macchinetta? Ce le dai ‘ste tre carte a testa o ti facciamo una domandina scritta?

E giù! Tutti a ridere, ancora una volta del povero zio Gennaro.

- Trentasette, trentotto, trentanove... Oh porca miseria!

- Riconta Genna’! Mamma mia che pianto!

Gennaro arrossì e ricontò.

- ...Trentasette, trentotto e trentanove. So’ proprio trentanove, porca miseria!

In casa c’era solo quel mazzo di carte e per giocare a “Ventotto” ne servivano quaranta.

La cosa provocò un sensibile calo di tensione nei presenti. Qualcuno, in barba ad ogni pudore, mostrò il broncio... I bambini piombarono nel più triste silenzio. Silenzio che fu interrotto da Marcellino, il più piccolo di tutti, che scoppiò a piangere. Poi seguirono Dionigi e Brisella, i cuginetti. Qualcuno imprecò contro la mala sorte, qualcun’ altro bestemmiò. Fu  davvero un peccato non poter chiudere quella bellissima serata come sempre, con la mitica e divertente partita a “Ventotto”. Gennaro continuò a contare le carte e a dividerle per seme, mentre gli altri cominciavano ad alzarsi e a gironzolare per la casa, guardando distrattamente la tivù, proponendo sgraziatissimi sbadigli. Non ci volle molto per scoprire che, tra le carte, mancava proprio il re di coppe.

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