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sabato 11 aprile 2020

Il metodo del Professor Kric


Ero giunto quasi alla nausea per il mio lavoro quando da un amico appresi dell’esistenza del vecchio professor Kric. Ero stufo dei pezzi che il direttore mi richiedeva: “Qui si deve colpire! Lì devi essere più morbido! Questo deve suscitare la commozione! Quello, la rabbia! ... Se non si legge il pathos, non si vende!”...

 - Il mio lavoro non esiste!

Mi andavo ripetendo.

- Esiste solo l’effetto che produce: la menzogna di massa. Io scrivo menzogne.

Così mi feci forza, andai in ufficio e mandai al diavolo tutto e tutti, compreso il direttore. Misi insieme un po’ di cose e, mosso dal desiderio di realizzare finalmente un vero servizio, partii alla volta di Draisettenetten, la graziosa cittadina che ospitava, tra gli altri, il celeberrimo professor Kric. Il personaggio mi incuriosiva tantissimo e da tempo sognavo di intervistarlo.

Kric era uno psichiatra della scuola dei Basilari, che in realtà rappresentava una modesta corrente di pensiero in voga negli anni settanta e faceva riferimento al caposcuola Simplicio Strummel, giardiniere, insignito della laurea ad honorem presso l’università di Xù, dopo che aveva trascorso una vita nella pratica della terapia a favore dei “maniaco depressivi” con buoni risultati. Assolutamente fantastico! E questo era tutto. Tutto quello che in una settimana di faticosissima ricerca avevo recuperato da alcune vecchie riviste di giardinaggio fai da te, nella rubrica dedicata alla pratica degli innesti sulle rose.

Giunto a Draisettenetten cercai un albergo dove alloggiare.

Un tizio mi disse che avrei dovuto aspettare due anni perché avevano da poco iniziato a costruirne uno nuovo di zecca. In alternativa mi indicò la dimora di tale Chico Ardiles, un messicano che in cambio di pochi spiccioli mi avrebbe affittato una stanza. Chico risultò subito simpatico e disponibile. Io ne approfittai per scambiare due chiacchiere e carpire qualche ulteriore informazione sul professore in questione e sul metodo straordinario contro la depressione.

- El profesor es un muy estimado señor ... - esordì il messicano - ... Es un solitario y vive en la sua piccola dimora de montagna. Muchos locos sono stati salvati da el profesor.

- Muchos locos?

- Molti esvitati señor. Pazzi escadenados che querian farla finita con esta vida.

- Maniaci suicidi?

- Depressos, totalmente esvitati.

- E... mi dica qualcosa sul metodo. Si dice che sia davvero singolare.

- Sì señor, estraordinario! Però no puedo dire nada su el metodo del profesor. Nessuno puede dire niente. Nunca el pueblo de esta città parlerà de este argomiento sensa el autorisasion del profesor.

- Ma cos’è un patto?

- Sì señor!

Furono le penultime parole del messicano, per quella mattina. Infatti, dopo aver buttato un’occhiata al vecchio pendolo, filò via come un razzo.

- Perdoneme señor... Tengo que andar! Son las undici pasadas.

Scappò via dall’ingresso principale mentre io restavo sulla sedia per qualche secondo, il tempo di domandarmi cosa aveva potuto interrompere la nostra conversazione in quel modo. Poi corsi alla porta e guardai fuori. Le strade erano deserte, non c’era un solo rumore. Eppure erano solo le undici e dieci del mattino. 

Dopo il pranzo e un riposino, verso le quattro lasciai la stanza per recarmi a far visita al professor Kric. Certo, le parole di Chico in un certo senso mi avevano prodotto una sensazione di disagio. Avrei chiesto al professore di parlarmi del suo metodo pur consapevole di quale fosse la riservatezza al riguardo. Beh, almeno riassaporai quel gusto per il mestiere che avevo perduto da tempo, quell’insano coraggio che è alla base del mio lavoro quando si tratta di sana divulgazione; della scienza, della reale verità al servizio dell’uomo. Mi accomodai nel piccolo salotto, piccolo ma confortevole e arredato con gusto. A guidarmi c’era una specie di maggiordomo sui sessanta, elegante nei modi e nell’aspetto. Mi disse di attendere e si allontanò. Non passò molto tempo, forse un paio di minuti, che il professore era già lì, di fronte a me con la mano protesa. Ricordo che fui subito affascinato da quella presenza minuta di ultrasettantenne col viso tutto segnato dal tempo. Lo seguii attentamente mentre trascinava la sua vecchia sedia, dallo scrittoio verso il centro della stanza. Si sedette calandosi con prudenza, poi puntò le mani sui braccioli e si tirò indietro. Mi guardò e sorrise.

- Grombidòn ... - mi disse.

Rimasi di stucco ma come spesso accade non replicai subito, preso com’ero dal dubbio di non aver capito bene. Intanto, l’anziano scienziato, aiutandosi con le mani, accavallò la gamba destra sulla sinistra.

- Grombidòn... - aggiunse.

- Scusi?

- Nulla. Non si preoccupi. Fa parte di un nuovo metodo che sto sperimentando in questi giorni: si comincia col dire una parola senza senso e questo aiuta ad ambientarsi, a stare a proprio agio. Benvenuto nelle semplici trame dei Basilari signore.

- Ah... Grazie professore.

- Lei è la prima persona che osa venire fin qui per intervistarmi.

Io tirai fuori il mio taccuino e la mia penna.

- Non scriva per favore. Questo è contrario alle nostre regole.

- Come vuole lei professore.

- Noi, i Basilari, come saprà, siamo dediti alla terapia contro la depressione nelle varie forme ...

- Come?

- Con l’applicazione del metodo di base, ovviamente...

- Sì, ma qual'è ?

- Per oggi è tutto signore.

E si alzò in piedi tornando a porgermi la mano.

- Però, mi scusi, professore... Io...

- Lo so, lei non è appagato. Per quello, se vorrà prestarsi personalmente, sarò lieto di renderla protagonista del mio trattamento domani. Sveglia alle cinque, attività fino alle dieci, quella che preferisce; poi faccia pure una doccia e mi raggiunga alle undici in punto. Se digiuno, viene meglio. Queste le condizioni!

Annuii e andai.

... Alle undici in punto del giorno dopo ero di nuovo in quella stanza. Il distinto maggiordomo mi aveva fatto sedere e legato polsi e caviglie con delle cinte di cuoio ai braccioli della sedia. Poi mi aveva infilato un paio di occhiali con le lenti tinte di nero. Si allontanò lasciandomi sulla sedia nel silenzio e nel buio totali.

Contai due volte fino a sessanta con la mente. Puntuali come il sole, sentii i passi del professor Kric e il rumore di una sedia trascinata. Provai ad anticiparlo proponendo una sorta di stupido sorrisetto di complicità.

- Grombidòn... - gli dissi.

Ma non sortì risposta.

Furono i dieci secondi più lunghi della mia vita. Corressi quell’espressione da fesso che avevo proposto nel tentativo di fare il simpatico e provai a tirar via la tensione con due colpetti di tosse finti da morire.

- Che entrino le basi!

Esclamò deciso il professore. E qualcuno entrò nella stanza. Udii i passi in avvicinamento che dovevano essere quelli del maggiordomo e il cigolio delle ruote di un carrello. Presto tornò il silenzio. Infine, ancora la voce del professore.

- Ora pensi alle esperienze più negative della sua vita, cerchi di raccoglierle insieme e quando glielo dirò, lei me ne parlerà.

La mia mente volò fulminea all’indietro nel tempo e cominciò ad ammucchiare gli imbarazzi e i fallimenti dell’adolescenza. Le delusioni, le turbe, le liti in famiglia, la falsità della scuola...

- Che siano aperti gli scrigni!

Ordinò Kric. E a seguire distinsi il rumore metallico degli scrigni che venivano aperti. Due per la precisione.

- Cominci pure a raccontare signore...

Così iniziai ad esporre le mie disavventure, cercando di mantenere un certo ordine cronologico durante il racconto che supponevo potesse aiutare il professore nell’analisi. Qualcosa però intervenne a turbare la mia fatica verbale. Era l’odore fragrante del pane caldo, doveva essere stato sfornato da poco. Lo sentivo chiaramente, così come sentivo i vapori che mi accarezzavano il viso. Mi resi conto d’essermi distratto e ricercai in tutta fretta la giusta concentrazione, che però non durò molto. Infatti cominciai a distinguere, insieme al profumo del pane, quello assolutamente inconfondibile ed irresistibile della... della mortadella appena tagliata, freschissima.

Tentai di riprendere il racconto ma, ora, la combinazione dei due odori mi rendeva nervoso. Ero digiuno dalle cinque per giunta. Mi aumentava la salivazione. Deglutivo in continuazione. L’elencazione delle mie disgrazie giovanili svaniva nel profumo che quasi si materializzava di fronte ai miei occhi, ciechi per l’occasione. Raccontavo e sognavo di mordere. Raccontavo e deglutivo. Raccontavo e mi muovevo nervosamente sulla sedia. Ad un certo punto non ebbi più la forza di andare avanti.

- Professore! La prego, così è una tortura...!

Rimasi a lungo in attesa di un cenno da parte di qualcuno, divorato da quella fragranza, finchè persi la pazienza. Mi liberai mani e caviglie e tolsi gli occhiali. Nella stanza non c’era più nessuno. Dinanzi a me, sul carrello,  i miei occhi scoprirono la divina creatura.

Durò solo qualche secondo quel meraviglioso panino con la mortadella. Mi sembrò uno dei momenti più dolci e pieni della mia vita quello della masticazione dell’ultimo boccone croccante. Della definitiva adesione alla scuola di pensiero dei Basilari, scienziati umili come il pane, essenziali e vitali, come la buona mortadella appena tagliata.

Ho capito molte cose da allora.

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