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lunedì 13 aprile 2020

Tecnica tibetana


Finalmente ho deciso di raccontare in prima persona. Ora vi parlo un poco di me. Quasi nessuno ne è al corrente, ma esiste una particolare tecnica di scrittura artistica, tanto ispirata da produrre effetti straordinari in chi scrive e... perfino in chi “viene scritto”.Molto tempo fa andai fino a Lhasa, in Tibet, per imparare quella tecnica. Un corso di tre mesi a 3.650 metri dal livello del mare. Praticamente in cielo. Tornato a casa, mi venne fatta un’offerta di lavoro: la commissione di una sceneggiatura per un film di Frullo Dalli Valli. Davvero niente male! Ovviamente accettai. Il Tibet mi aveva portato fortuna e quel film era fatto apposta per mettere in pratica la mia nuova tecnica. Nei giorni successivi mi adagiai su una specie di estasi indotta dalla meditazione. Avevo imparato bene e, come  garantito dai monaci, riuscii subito ad entrare nei personaggi che si andavano delineando nella trama, man mano più numerosi. In pochissimo tempo fui in grado di innestarmi completamente in ognuno di essi per modellarli nei tratti caratteriali, fisici, psicologici, nei pregi, nei difetti, insomma in tutte le facoltà umane che costruivo e che poi rilasciavo rendendole, gradualmente, un po’ meno mie e più proprie dei personaggi. Ero completamente soddisfatto del lavoro e fiero delle nuove conoscenze acquisite. Un’esperienza entusiasmante! Dopo due mesi, mi trovavo quasi alla fine della storia per cui avevo previsto un finale davvero esilarante.Il finale di un film è una partita difficile, di quelle che si devono vincere per forza. Decisi perciò di riflettere ed elaborare con calma e con il massimo rigore. Dopo un paio di giorni mi imbatto nella migliore idea che si possa immaginare. “È fatta!”, urlai a tutto fiato. Avevo deciso di inserire una scena drammatica prima del finale e poi di chiudere con un paio di sorprese mozzafiato. Iniziai subito a scrivere secondo il programma. Il ritmo era molto sostenuto, mi avviavo finalmente a tessere i presupposti della suddetta scena quando ... improvvisamente ... uno dei personaggi principali della storia, Gnaccaria Colò, accanito fumatore di pipa e “propagatore” di odori di schifosissimo dopobarba che ti faceva pensare alla muffa più che al muschio, si ferma al centro del mondo virtuale che avevo costruito anche per lui, mi guarda e fa:

-        Io me ne vado!

Ricordo bene di essere rimasto in silenzio per un paio di minuti dopo quella “sentenza” così perentoria e che non mi capacitavo di metabolizzare quel che avevo appena visto. Certo si trattava della produzione del visionario che devo essere per forza in questi casi, ma assicuro che quella visione era al limite del più reale della realtà. La nuova tecnica e la meditazione avevano prodotto l’inimmaginabile. Ebbi il tempo di sentirmi fiero per i risultati conseguiti nell’arco dei due minuti ma avvertivo anche la forte sensazione di impantanamento a cui ero abituato, ma non a quei livelli. Mentre mi sentivo ormai inesorabilmente risucchiato nel pantano, fui richiamato alla “realtà”, quella “realtà”. Gnaccaria mi richiamò.

-        Heeei! Tu! Hai capito cosa ho detto? Io me ne vado!

Ritrovai la parola.

-        E perché?

-        Perché non voglio morire!

Infatti era destinato alla morte, da lì a poco.

-        E tu che ne sai?

-        Non sono mica scemo.

Restai ancora muto per qualche secondo e lui incalzò.

-        Senti autore, è meglio che ti dia una regolata e che risolva ‘sto problema, intesi? Altrimenti vado via!

-        Ma tu ... così ... mi rovini! ...

-        E chi se ne frega! Mica ho deciso io di stare qua! Ho capito, adesso basta! Me ne vado!

Iniziò a muovere verso la porta che io avevo creato in fondo a un lungo corridoio, nella sua abitazione. Gli avevo pure creato una casa!

-        Sta’ buono dai! Non proverai dolore. E’ solo la scrittura per un film! Dai! Fermati per favore! Ne possiamo parlare? Così mi rovini! Fermati!

Ma lui niente. Se ne andò via veramente quel ... Bastardo! Era proprio questa la sua peculiarità, la sua “qualifica” principale nel racconto. Se ne andò sbattendo la porta e facendo cadere il quadretto di ceramica regalatogli dalla nonna su cui c’era scritto “fatevi i cazzi vostri!”. Andò in mille pezzi. Per onorare la cronaca, va anche detto che il quadretto era stato appeso ed esposto al contrario, cioè con la frase scritta rivolta verso la porta. Degno di un bastardo!

Il personaggio chiave se ne era andato! Io ero nei guai ...

Mancavano una quindicina di giorni alle scadenze contrattuali col produttore e non trovavo Gnaccaria. Avevo anche bisogno di incassare soldi, li avrei avuti solo alla consegna del lavoro finito. Ero quasi a secco e le cose si stavano mettendo malissimo.

Decisi di tornare in Tibet. Ero disperato. Confidavo nell’aiuto dei monaci. Il viaggio del ritorno a Lhasa fu tremendo. Ai monaci raccontai i fatti e subito si generò un ampio brusio di commenti. Uno di loro, il più anziano mi sembrò, fece cenno di seguirlo da parte. Ci allontanammo di qualche metro e, con voce pacata, mi disse:

-        Tutto ciò è possibile. Ma è anche stupefacente! Lei ha una grandissima sensibilità signore. Ci vogliono molti anni di esperienza per riuscire in quanto lei dice di aver fatto.

In poco più di un minuto, i monaci mi stavano tutti intorno, in ginocchio, come in adorazione.

-        Lei è un Eletto, signore! Lei è …

-        No! Basta!

Interruppi bruscamente.

-        Niente eresie per cortesia! Io ho solo bisogno del mio personaggio, convincerlo a tornare e finire il lavoro, sono stato chiaro? Ora ... Voi mi avete avvelenato e voi mi darete l’antidoto! Chiaro?

-        Si calmi per favore. Non è così semplice ... Le spiego... Quello che lei crede essere il suo personaggio, proprio grazie alle sue capacità creative, ora è un personaggio libero.

-        Libero? Ma libero da cosa?

-        Farà quel che vorrà in giro per l’immaginario, il suo immaginario. Lei non può accanirsi su di lui, nè ora nè mai.

-        Cosa?

-        Sì! E’ così. Dovrà rispettarne la volontà.

-        Ma è mio il personaggio!

-        Non si adiri Maestro.

-        Maestro? Ma quale Maestro? Io ho messo a rischio la mia carriera, lo capite?

-        Per cortesia, non si adiri Maestro. E ancor meno verso Gnaccaria. Non è conveniente. Si rischia di generare ... inimicizie. 

-        Inimicizie? Ma cosa vi state inventando?

-    Certo Maestro! Voi potreste diventare nemici se lei insiste troppo, perché Gnaccaria si sentirebbe costretto a “difendersi”, diciamo, ogni qualvolta leggesse una pur minima volontà da parte sua di procurargli del male. Stia attento Maestro! Lui potrebbe perfino diventare... vendicativo.   

Mi sembrò davvero troppo. Ho sempre avuto ammirazione e rispetto per i monaci buddisti eppure, in quel contesto, ero molto infastidito e li odiavo tutti. Così pacati, sereni e tranquilli, mentre io esplodevo di rabbia e generavo pensieri di adrenalina pura:

“Ma che diavolo dicono questi! Ora stanno proprio esagerando. E’ proprio vero che, prima o poi, tutti i religiosi esagerano. Al diavolo tutti allora!…” Me ne andai bruscamente e di certo risultai anche molto scortese agli occhi di tutte quelle miti persone che, comunque, si levarono in piedi in segno di rispetto mentre lasciavo la stanza con parole irripetibili. Avevo deciso di risolvere il problema a modo mio, secondo i canoni della mia vecchia, cara abilità personale di autore e di rimuovere ogni minima traccia di quella maledetta tecnica tibetana che mi stava rovinando l’esistenza. 

Il giorno dopo ero in volo. Confidavo di tornare sul finale della sceneggiatura appena tornato a casa. “Alla caccia spietata di Gnaccaria ad ogni costo e della parola fine! Lo prenderò quel bastardo!” Così pensai convinto. Intanto, per trascorrere il tempo e tenermi in esercizio, riaprii la cartella di un racconto d’amore che avevo lasciato incompiuto dal giorno della commissione della sceneggiatura e che avevo in animo di ultimare con un lieto fine tra lui e lei, ritrovati nell’amore dopo tanto tempo di separazione. Anche lì, mancava solo il finale. Iniziai a rileggere il racconto prima di riprendere a scrivere. Lo avevo lasciato che contava cinque pagine complete. Sul finire della quinta pagina avverto come qualcosa che non ricordavo d’aver scritto. Comunque proseguo fino alla fine, volto la pagina e ... Per mia grande sorpresa, mi ritrovo anche la sesta completata. Sono sconvolto e finisco di leggere tutto ma solo per inerzia. Da un certo punto e fino alla fine lessi: “… Doveva essere il grande amore ritrovato, ma quando lui decise di presentarsi a sorpresa da Lei che gli aveva detto - io ti amo ancora - la ritrovò nuda, sorridente e appagata sul letto, al centro della stanza in disordine e che ancora sapeva di tabacco da pipa e di schifosissimo dopobarba, che ti faceva pensare alla muffa più che al muschio”. Mi venne un malore. Dovetti cambiare mestiere, ma solo per il breve tempo necessario a rimodulare quell’esperienza.

Ora vivo permanentemente a Lhasa e sono il primo Dalai Lama italiano della storia.

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